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L'iperbole
Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come, grazie agli strumenti offerti dalle figure retoriche, siamo in grado di mistificare concetti attraverso immagini simboliche, di alterare la percezione delle espressioni linguistiche giocando sull'effetto sonoro prodotto dai vari fonemi o unità di parole, di creare suggestivi virtuosismi che fungano da strumento commerciale, anche.
E non è tutto: possiamo addirittura esasperare un concetto, manipolandolo in eccesso o in difetto, nell'intento di conferire maggior credibilità al messaggio espresso, nonostante spesso si ottenga esclusivamente il risultato di apparire esagerati, benché l'unica intenzione sia quella di rafforzare un'affermazione.
E' questo, per l'appunto, il compito dell'iperbole: esaltare un concetto all'estremo, esagerandone la realtà, per attribuirgli maggiore espressività e amplificarne l'effetto.
Ecco alcune espressioni iperboliche di uso comune, nelle accezioni dell'eccesso:
“Mi fa morire dal ridere”;
“E' una vita che ti aspetto”;
“Tocco il cielo con un dito”;
e in quelle del difetto:
“Un secondo e arrivo”;
“Sono andato a fare due passi”.
Siamo soliti usare questo espediente linguistico in situazioni comuni della nostra vita, tanto che ormai ne fa parte come una sorta di espressione gergale che, benché spesso fraintesa per la sua “vena egocentrica”, è alla portata di tutti e da tutti compresa all'istante. Non si può dire, perciò, che non sia uno strumento valido per una comunicazione immediata e di successo.